L'INCHIESTA - L'AEROPORTO DI FROSINONE DECOLLA A ROMA

  • Tommaso Villa

Le parole del Presidente Rocca hanno almeno un merito: non girano intorno alle cose. Dice chiaramente che un aeroporto nel Frusinate avrebbe senso soltanto con una fermata dell’alta velocità. E proprio questa sincerità crea una contraddizione che ormai è impossibile far finta di non vedere. Perché se un’infrastruttura nasce per servire Roma, allora non stiamo parlando di un aeroporto di Frosinone, ma della sua quarta pista. Una pista molto lontana, peraltro.

Pensiamoci un attimo: atterrare in Ciociaria per poi risalire verso la capitale non è un progetto, è un controsenso. Un aeroporto dovrebbe accorciare i tempi, non allungarli. Dovrebbe facilitare i viaggi, non incasinarli con treni, cambi, ritorni verso nord. È un paradosso così evidente che sorprende il fatto che nessuno, finora, abbia avuto il coraggio di dirlo.

E poi ce n’è un’altra, ancora più grossa: se già oggi si discute perfino sulla sostenibilità economica della TAV nel Basso Lazio, come possiamo immaginare un aeroporto che dipende del tutto da quella stessa infrastruttura? Se tentenniamo sulla Panda, non possiamo pensare al Boeing. Non funziona. Non ha mai funzionato.

Eppure, per quasi un quarto di secolo, l’idea dello scalo civile di Frosinone è rimasta appesa nei comunicati stampa, nelle conferenze, negli annunci di rito. Senza mai toccare terra, proprio come gli aerei che avrebbe dovuto ospitare. E qui si apre il capitolo più amaro: quello dei soldi pubblici.

Già nel 2000 nasce la società Aeroporto di Frosinone S.p.A. Nel 2009 la Regione mette sul piatto oltre un milione di euro per entrarci dentro e altri 1,8 milioni per l’interporto. I soldi iniziano a scendere, mentre gli aerei continuano a non salire.

Tra il 2010 e il 2013 i bilanci sono impietosi: nessuna attività aeroportuale, solo costi, perdite e manutenzione di una struttura che struttura non era. Provincia e Camera di Commercio pagano la parte più pesante, anno dopo anno.

Dal 2014 al 2021 succede poco o nulla. La società resta in piedi, ma l’aeroporto resta sulla carta, nelle slide e nei convegni dove si parla sempre di rilancio, ma senza mai vedere un progetto vero.

Nel 2022 si tenta di rimettere mano a tutto, con il solito “recuperiamo il lavoro già fatto”. Ma di fatto non c’è una pista, non c’è un progetto, non c’è un investitore privato.

Nel 2023 si arriva alla resa dei conti: la società Aeroporto di Frosinone S.p.A. finisce in liquidazione. Zero decolli, zero arrivi, zero servizi. Solo spese, e tutte pubbliche.

Ma la vera domanda è: perché? Perché investire così tanto in un’idea che non aveva mercato, che non aveva studi seri dietro, che non aveva una logica territoriale vera? Perché immaginare uno scalo che serviva Roma e non la Ciociaria? Un aeroporto che nasceva già con la valigia in mano per andare altrove?

E allora sì, diciamolo una volta per tutte: se già la fermata dell’alta velocità è un’impresa, figuriamoci un aeroporto. È un film che qui non è mai stato in programmazione, ma qualcuno ha continuato a stampare i biglietti.

Tutti quei fondi, tutte quelle energie, potevano essere usati per le opere viarie che aspettiamo da sempre. Strade, collegamenti, infrastrutture serie, quelle che davvero cambiano un territorio. Quelle che mancano da decenni, e la cui assenza pesa ogni giorno sulla vita di chi vive qui.

E allora un ringraziamento lo facciamo, sì: ma non quello classico. Un ringraziamento ironico, amaro, a chi per anni ha tenuto in piedi questa illusione costosa. Nessun aereo, tanto denaro, risultati zero.

Chiudiamo con una richiesta semplice e diretta: basta favole. Sosteniamo progetti veri, concreti, utili. Quelli che parlano alla Ciociaria e non ai titoli dei convegni.

Perché le favole sono belle quando restano nel libro. Appena si riaprono gli occhi, lasciano sempre un sapore amaro.

Facciamo davvero decollare la Ciociaria