VEROLI - LE GIORNATE FAI E I FASTI
- Tommaso Villa
A Veroli, nelle Giornate FAI, non si visitano soltanto luoghi: si impara anche a leggere il tempo. Non quello degli orologi—quello della città. È una storia che inizia nel 1922, dentro il cortile di Casa Reali, quando da un muro affiorano frammenti di una lastra marmorea. Poca cosa a vederla così, spaccata, graffiata. E invece no: era—è—un calendario romano inciso, i Fasti Verulani, il “diario” pubblico con cui la comunità organizza feste, mercati, riti e perfino divieti. Oggi l’originale sta al Museo Civico Archeologico (Palazzo Municipale), mentre nel cortile del ritrovamento c’è una riproduzione che ti guarda con discrezione. Basta avvicinarsi e, sì, si può ancora leggere.
La lastra conserva tre mesi: gennaio, febbraio e marzo. Non è poco. Riga dopo riga, una scrittura asciutta racconta “che giorno è” per la città: se si può tenere il tribunale, se si può votare, se invece domina il culto e tutto il resto—affari, udienze, burocrazia—deve fermarsi. Dentro quelle sigle c’è la macchina del tempo romano, che funziona in tre ingranaggi semplici. Il primo sono i tre “cardini” del mese: Calende (sempre il 1°), None (di norma il 5, ma il 7 in marzo, maggio, luglio e ottobre) e Idi (il 13, oppure il 15 negli stessi quattro mesi). I Romani datano contando a ritroso da questi cardini, un po’ come dire “mancano tre giorni alle Idi”: sembra complicato, poi ci prendi la mano.
Il secondo ingranaggio sono le lettere nundinali, da A a H. Non avevano la nostra settimana a sette giorni; usavano un ciclo di otto: mercato, pausa, di nuovo mercato… tutto scandito da quella lettera che torna ogni otto giorni. È un planning civico in piena regola, messo in pietra. Il terzo elemento è la “semaforica” del giorno, le notae dierum: F (fastus) significa che affari e tribunali si possono fare; C (comitialis) che si possono tenere i comizi; N o NP (nefastus e festa pubblica solenne) che prevale il sacro; EN (endotercissus) è un giorno “spezzato”: nefasto all’alba e al tramonto, ma utilizzabile a metà giornata. Poche lettere, ma decisive.
Non è teoria. La lastra di Veroli si fa capire, eccome. Prendiamo gennaio. Il 13 sono le Idi e compaiono le feriae Iovi: giorno alto, sacro a Giove, il flamen dialis offre il famoso ovis idulis (l’agnello delle Idi). Il 14 è segnato come dies vitiosus per la nascita di Marco Antonio: c’è scritto che è così “per senatoconsulto”, e questo dice molto su come la memoria politica passasse dentro il calendario. Il 16 si ricordano, “per decreto del Senato”, le Concordia nel Foro; il 17 ancora feriae ex s.c. per le nozze di Livia e Augusto. Qui un dettaglio pesa come un macigno: Augusto è chiamato divus. Tradotto: siamo dopo il 14 d.C., dopo la sua morte e divinizzazione. Il 30 si celebra la dedicazione dell’Ara Pacis, uno dei simboli più riconoscibili dell’ideologia augustea. E questo solo in un mese.
Febbraio non è da meno: il 15 le Lupercalia, rito fertilistico antichissimo; il 21 i Feralia che chiudono i Parentalia, cioè il lungo saluto ai defunti con offerte sobrie; il 22 le Inferiae di Gaio Cesare, nipote ed erede designato di Augusto; il 23 i Terminalia, i riti ai confini, con la pietra “Terminus” da incoronare e onorare (e c’è tanta antropologia, qui, oltre la liturgia); il 24 il Regifugium, quella “fuga del re” che ci porta alle origini della Roma repubblicana; il 27 le Equirria, le corse equestri in onore di Marte che suonano come un tamburo: la stagione militare sta per aprirsi.
In marzo, mese di rinascita, tornano i passaggi di crescita personale e civica: il 17 le Liberalia, quando molti ragazzi assumono la toga virile—non un dettaglio, ma un vero rito di passaggio sociale; il 19 i Quinquatrus, cinque giorni soprattutto per Minerva, arti e mestieri da una parte, purificazione delle armi dall’altra; il 23 il Tubilustrium, la lustrazione delle trombe sacre e militari; il 24 la sigla QRCF: Quando rex comitiavit fas. Prima il rito del rex sacrorum nei comizi, poi—e solo poi—“è lecito” fare il resto. Ecco l’ordine delle cose, senza giri di parole.
Visitarli oggi è semplice. Si parte da Casa Reali per vedere la riproduzione nel punto esatto dove tutto è riemerso; si continua al Museo Civico per sostare davanti all’originale e leggere riga per riga con la “legenda” in mano (Calende/None/Idi, lettera A–H, nota del giorno). In dieci minuti ci prendi gusto, in mezz’ora non vorresti più smettere. Perché capisci che quei segni non sono archeologia fredda: sono la griglia—rigorosa, sì—con cui una città si pensava e si organizzava. E un po’ ci riguarda ancora.
Nel clima delle Giornate FAI questo omaggio ai Fasti Verulani è più di un tributo: è un invito. Impariamo a leggere il calendario di pietra e immaginiamo come trasformarlo in palinsesto vivo: piccole rievocazioni divulgative (niente toga di plastica, promesso), mercatini “nundinali” ogni otto giorni in chiave contemporanea, laboratori per le scuole su “come si data alla romana”. Idee semplici, concrete. E intanto—questa è una fissazione nostra, lo ammettiamo—raccogliamo le memorie dei lettori: foto di Casa Reali, appunti di visita al Museo, ricordi di nonni e maestri che i Fasti li citavano a scuola. Sono i dettagli che fanno città. Il resto, se serve, lo mette la pietra.