ECONOMIA - SENZA ZES IL MERIDIONE DEL LAZIO
- Tommaso Villa
Bene hanno fatto il presidente della Provincia di Frosinone Luca Di Stefano e quello di Latina Gerardo Stefanelli a scrivere alla premier Giorgia Meloni. Non è l’ennesimo gesto politico, ma un atto di consapevolezza istituzionale: il nostro territorio sta ancora pagando il prezzo del post-COVID e ha bisogno di una strategia nazionale per tornare a crescere.
I numeri, purtroppo, raccontano una storia che molti conoscono già sulla propria pelle. La Camera di Commercio Frosinone-Latina parla chiaro: il lavoro resta un problema aperto, con un tasso di occupazione che non riesce a superare il 55%. Le nuove imprese nascono con il contagocce, e nel primo semestre del 2025 il saldo è ancora negativo. Anche il turismo, soprattutto quello straniero, non è tornato ai livelli del 2019: mancano visitatori, e con loro manca quel respiro economico che un tempo si sentiva nelle piazze e nei centri storici. I consumi interni crescono piano, quasi con timore, segno di un potere d’acquisto ancora debole e di una fiducia che fatica a rimettersi in moto.
La pandemia ha lasciato cicatrici profonde: aziende che hanno chiuso, giovani che sono andati via, famiglie che hanno ridotto drasticamente le spese. E nel frattempo i territori inclusi nella ZES Unica godono di agevolazioni fiscali e amministrative che il basso Lazio non ha, amplificando ulteriormente il divario competitivo.
Ecco perché la lettera a Palazzo Chigi è una scelta giusta: serve un tavolo permanente per riequilibrare le politiche industriali e includere anche la Ciociaria e il sud pontino in una visione di sviluppo nazionale.
Ma non bastano le rivendicazioni: servono idee chiare e linee d’azione possibili, capaci di tradursi in una visione territoriale condivisa. Alcuni esempi possono indicare la rotta.
Il Distretto Tessile della Valle del Liri, con epicentro a Sora, rappresenta una delle filiere che potrebbero tornare protagoniste, se sostenute da un piano serio di modernizzazione, sostenibilità e formazione.
Il MOF di Latina, uno dei poli agroalimentari più grandi d’Italia, può essere visto come un potenziale motore logistico per la filiera del centro-sud Lazio. Potrebbe fungere da hub interregionale per prodotti agricoli, trasformati e distribuzione di prossimità, integrando agricoltura, commercio e logistica sostenibile.
Il porto di Gaeta, con la sua posizione strategica, potrebbe invece diventare un tassello chiave per il collegamento tra industria, turismo e traffici commerciali del Mediterraneo. Un’infrastruttura già esistente, che se meglio connessa con le aree interne, potrebbe generare un effetto moltiplicatore sull’intero basso Lazio.
Allo stesso modo, la situazione di Stellantis a Cassino e di altre aziende meccaniche e componentistiche nel Frusinate e nel Pontino impone una riflessione seria sulla necessità di riconversione industriale: servono incentivi, contratti di sviluppo e una politica nazionale di filiera che riporti qui nuovi investimenti.
Tutti questi sono esempi di direzioni possibili, non piani già scritti. Ma mostrano che il potenziale c’è, e che va solo messo a sistema: infrastrutture, manifattura, logistica e innovazione devono diventare i quattro pilastri di una strategia unitaria.
La Ciociaria e il Sud Pontino non chiedono privilegi, ma pari opportunità. E la voce unita delle due Province è un segnale forte: serve una politica industriale che parta dai territori e torni a parlare di produzione, lavoro e sviluppo vero.
Perché uscire dal post-COVID non significa solo risalire nei numeri, ma disegnare un futuro che tenga insieme industria, ambiente e comunità. E in questo percorso, il basso Lazio ha ancora molto da dire — e molto da costruire.