FUCINO - QUANDO ERA IL TERZO LAGO D'ITALIA

  • Tommaso Villa

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui nel cuore dell’Abruzzo si stendeva un immenso specchio d’acqua. Si chiamava Lago Fucino, e per secoli fu considerato il terzo lago d’Italia per estensione, dopo il Garda e il Maggiore. Le antiche carte del Regno di Napoli lo mostravano come una macchia azzurra di oltre 150 chilometri quadrati, variabile nelle stagioni, circondata da paesi e montagne che ancora oggi ne custodiscono il nome.

Le immagini che circolano oggi — come quella che mostra il “prima e dopo” — raccontano una storia affascinante e controversa: dove c’era un lago, ora si vede un tappeto di campi geometrici, il risultato della grande bonifica ottocentesca. Nel 1878, dopo anni di lavori titanici, il principe Alessandro Torlonia completò l’opera di prosciugamento, trasformando per sempre il paesaggio della Marsica.

Non fu però la “nuova terra promessa” che molti immaginavano. Il fondo dell’antico lago, pur ricco di sedimenti, era tutt’altro che semplice da coltivare: argilloso, soggetto a ristagni, con aree troppo umide e altre troppo salate. I primi anni furono un susseguirsi di fallimenti agricoli, con raccolti scarsi e difficoltà a stabilizzare il terreno. Solo dopo decenni di lavori di drenaggio e sperimentazioni agronomiche si riuscì a trovare un equilibrio, selezionando poche specie capaci di adattarsi a quel suolo difficile — patate, carote, barbabietole e cereali.

La storia del Fucino è anche una parabola del rapporto tra uomo e natura. Già nel 41 d.C., l’imperatore Claudio aveva tentato di domare il lago, ordinando la costruzione di un emissario sotterraneo per collegarlo al Liri. L’opera, lunga più di sei chilometri, era un prodigio d’ingegneria romana, ma con il tempo si deteriorò e le acque tornarono a salire, sommergendo campagne e villaggi.

Quando Torlonia riprese l’impresa quasi duemila anni dopo, utilizzò quel vecchio cunicolo come base, scavando nuovi canali e sistemi di deflusso. Il 1° ottobre 1878 il lago cessò di esistere: le acque si ritirarono, lasciando spazio a una nuova pianura artificiale, la Piana del Fucino, che col tempo sarebbe diventata una delle aree agricole più produttive del Centro Italia.

Oggi, osservando l’immagine satellitare che sostituisce il blu del lago con il verde dei campi, viene spontaneo chiedersi se sia stato un progresso o una perdita. Da una parte, la conquista tecnica e la capacità di trasformare un ambiente ostile; dall’altra, la scomparsa di un ecosistema unico e di un paesaggio che, fino a poco più di centocinquant’anni fa, era il terzo lago d’Italia.