TEMA - PAOLO, UNO DI NOI

  • Tommaso Villa

Oggi, entrando a scuola, avrei voluto che, nonostante la materia della prima ora, ci avessero assegnato un tema dal titolo: Per Paolo, uno di noi.

Sarei partito da una riflessione semplice ma inevitabile: cosa ci insegna la storia di Paolo?

Forse che la scuola non è solo incapace di insegnare, ma soprattutto non sa imparare dai propri errori.

Anna (nome di fantasia), bocciata per la seconda volta agli esami di riparazione, cosa può imparare da tutto questo? Riceve la notizia tramite un’app: la stessa che ci bombarda di notifiche a tutte le ore e che, ogni volta, è un colpo al cuore. Ma un’app non sa dove sei, con chi sei, non intuisce se sei solo, perso nei tuoi pensieri di adolescente, magari già dentro un baratro, e quella notizia diventa il colpo che ti fa sprofondare. Ma possiamo davvero leggere su un telefonino che la nostra vita si sta sgretolando?

Dov’è la scuola che dovrebbe creare complicità ed empatia con noi, che ci affacciamo alla vita? E non dite che siamo tutti uguali. Non divideteci tra “buoni” e “cattivi”, come se i secondi fossero da emarginare. Noi siamo il futuro, e dovremmo essere educati a costruire un mondo nuovo, più giusto, dove gli ultimi non restano ultimi. Ma troppo spesso fa comodo lasciare indietro qualcuno.

La scuola oggi è come un treno che corre senza mai fermarsi: travolge chi incontra davanti, non aspetta chi resta indietro, non ascolta chi grida e non guarda nemmeno dove passa. Parla, parla, parla… ma non ascolta nemmeno sé stessa. È sorda, cieca, ipocrita. Le parole si disperdono nel vento, pronunciate da chi non ci crede davvero.

E quando domandi: “Ma Paolo era bullizzato?”, la risposta è sempre la stessa: “Noi non ce ne siamo mai accorti”. E allora che scuola è una scuola che non sente, non vede e non sa leggere il nostro malessere? Che bella contraddizione: una scuola che non sa leggere…

La scuola non è un padre, non è una madre; però pretende di avere dei figli. Il suo percorso si chiama “maturità”. Ma oggi, la scuola, ha davvero la maturità per accoglierci?

Io credo di no. Troppe volte è stata rimandata. Le sue possibilità sono finite. La scuola merita una sonora bocciatura. Sì, in maturità.

E poi c’è un’altra ferita aperta in questa storia: la scuola non ha accompagnato Paolo neanche nel suo ultimo viaggio terreno. Un’assenza che pesa, che ha fatto male non solo alla sua famiglia, ma anche a noi ragazzi, che ci siamo sentiti indotti a dissociarci. Forse per paura, forse per il peso delle indagini e delle verifiche ministeriali che incombono. Ma resta un fatto: neanche in quell’ultimo atto la scuola è stata capace di esserci.

Forse dovrebbe tornare all’asilo, ricominciare da capo, imparare di nuovo ad ascoltare, a guardarci in faccia, ad avere l’umiltà di ammettere che i suoi fallimenti sono i nostri fallimenti.

La scuola deve tornare ad imparare prima di insegnare. Perché solo chi sa ascoltare, chi sa accogliere e chi sa cambiare, può davvero accompagnarci nel cammino della vita.

Per un mondo migliore, dove nessuno viene lasciato indietro. Certo, sembra quasi la classica risposta da concorso di Miss Italia: “La pace nel mondo”. Ma noi ragazzi, pur vivendo di utopie, sappiamo che una scuola diversa è possibile.

La scuola non deve essere una corsa a ostacoli. Perché se è così… io non mi sono iscritto. E neanche Paolo, perché Paolo è uno di noi.