CERTOSA DI TRISULTI - IL MISTERO DEL FURTO NEL TABERNACOLO
- Tommaso Villa
Inizi di agosto 1973 si consuma il furto delle pietre del tabernacolo della Certosa di Trisulti. Di valore inestimabile, "in stile berniniano", il ciborio aveva incastonato sulla sua sommità una pietra unica, un cardocchio egiziano (un'ambra) al cui centro era imprigionata un'ape - come riporta la cronaca de Il Messaggero a cura di Alberto Minnucci.
lo storico cronista di Alatri si recò presso la Certosa per svolgere degnamente il suo mestiere: Alberto era sempre sul pezzo. "Ai due lati del ciborio - continua nel suo racconto Minnucci - due margherite composte da agate, lapislazzuli, pietre giallo schietto, alabastri e pietre orientali". Un tesoro di proprietà dello stato trafugato sparito in poco tempo mentre i nove monaci cistercensi dormivano.
"Era incastonata al centro del piccolo timbro un'ambra che racchiudeva un'ape e una mosca entrambe fossilizzate - specifica lo storico frusinate avvocato Fabrizio Girolami che spiega inoltre - anche la seconda copia fu trafugata dopo qualche anno e pertanto si ritenne necessario mettere una terza copia. La prima era di inestimabile valore, mentre le altre due no. La terza, comunque ancora oggi è visibile. Anche il Battesimo di Cristo sopra il tabernacolo fu trafugato nell'agosto del 1973".
Tornando alla cronaca puntuale e precisa di Alberto Minnucci: "l'amministratore don Davide Paniccia che in assenza del priore don Leonardo Campoli è del parere che i ladri siano entrati dalla parte orientale della certosa, dove il muro di cinta è più facilmente accessibile per via di alcuni lavori di restauro".
Durante il blitz dei ladri sparì un calice di modesto valore, per questo si parlò all'epoca di furto sacrilego. Molto presumibilmente l'azione criminale venne eseguita da non meno di 4 persone, due di loro si sarebbero nascosti nella chiesa e gli altri sarebbero sopraggiunti in un secondo momento a bordo di una potente vettura.
Come fu confermato da un uomo di Anzio che spesso d'estate per brevi periodi si accampava con la tenda nei pressi della certosa. Ad accorgersi del furto della preziosa ambra donata dall'Impero Asburgico fu don Davide Paniccia che allertò i carabinieri della Stazione di Vico Nel Lazio. Sul posto si portarono i colleghi di Alatri e di Frosinone e gli uomini della Squadra mobile della Questura di Frosinone.
Ne seguirono laboriose indagini che però non riuscirono ad individuare gli autori del furto né tanto meno a tornare in possesso di quell'opera d'arte preziosa che venne portata alla certosa nel 1774 quando il priore don Pietro Paolo Tonelli la portò dalla certosa di Pavia alla quale era stata donata dall'Impero asburgico. "Era di proprietà dello stato italiano - spiegò don Davide Paniccia - chi aveva il denaro per pagare il premio dell'assicurazione?". Ma visto il valore dell'ambra perché non fu adeguatamente conservata?
Bruno Gatta