IL PARERE - OMICIDI E GENOCIDI
- Tommaso Villa
C’è una cosa che spesso dimentichiamo, presi dalle tifoserie politiche: la realtà non si piega ai nostri schieramenti. Un omicidio politico resta un omicidio politico, che arrivi da destra o da sinistra. Un genocidio resta genocidio, che sia sostenuto da governi progressisti o conservatori.
Eppure ogni volta sembra di assistere alla stessa scena: chi si trova “dalla parte giusta” minimizza, giustifica, distorce. Come se il dolore di chi subisce potesse valere di più o di meno a seconda del colore di chi lo infligge.
Questo è il vero pericolo: non il delitto in sé, che già è tragico, ma la distorsione collettiva che lo accompagna. È lì che si misura la maturità di una società. Se sappiamo condannare solo quando il colpevole è l’avversario politico, allora siamo ancora fermi alle tribù, non a una democrazia.
Le nefandezze vanno condannate sempre, senza se e senza ma. E soprattutto senza colori. Perché la civiltà non è quando si divide il mondo tra “i nostri” e “i loro”, tra i “buoni” e i “cattivi” (anche se, ammettiamolo, qualunque parte scegliamo, finiamo sempre per considerarci i primi). È civiltà quando si riconosce che certe cose non possono mai essere accettate. Mai.
Ecco perché serve una condanna bipartisan: non per diplomazia, ma per dignità. Solo così possiamo parlare di società civile. Solo così, forse, possiamo ancora parlare di progresso.