SOCIETA ' - COSA SUCCEDE AI NOSTRI RAGAZZI?
- Tommaso Villa
Un ragazzo di 27 anni è morto, in circostanze tragiche, Leonardo era un amico di mio figlio. La terribile tragedia che ha coinvolto Leonardo ci interroga sui nostri figli e sulle nostre funzioni da genitori. Non so cosa sia successo, ma mi sembra che siamo di fronte a quello che in termine tecnico si chiama acting out: una azione subitanea incontrollata, che sprigiona violenza senza alcuna consapevolezza delle conseguenze, una rabbia esplosiva che può compromettere pesantemente la vita delle persone.
Rabbia che esplode, accompagnata a confusione, amore che diventa in pochi attimi odio. Non sono un giudice e non mi interessa individuare responsabilità, colpe e dinamiche dell’accaduto. Resto a guardare intontito le conseguenze: un corpo esamine, genitori distrutti e annichiliti, una madre che si interroga sul proprio figlio, il sopravvissuto ancora sotto choc.
Questa situazione così terribile da un lato, richiede il silenzio delle bocche, il silenzio del gossip e degli aspiranti detective. Dall’altro credo che sia doveroso non interrompere, anzi, amplificare il suono che il dolore produce e provare a confrontarci su quanto sta succedendo ai nostri giovani e a noi stessi. Conosco molte situazioni problematiche in cui i figli sembrano essere espressioni di malesseri individuali di varia natura: solitudine, disturbi dell’alimentazione, abbandoni scolastici, ritiro in casa, uso di sostanze.
Mi sembra che questi segnali di malessere segnalino un confuso e complesso rapporto tra familiari e figli, tra familiari e società, tra figli e coetanei, tra scuola e singoli. Come genitori facciamo una grande fatica a comunicare significativamente con i nostri figli; da un lato c’è il nostro desiderio che i figli rispondano alle nostre aspettative, dall’altro quella che sembra una confusa motivazione identitaria da parte dei figli.
Ma se c’è una così grande diffusione del disagio, se c’è una drastico calo delle nascite, che in qualche modo ha a che fare con il calo delle aspettative rispetto al futuro e un aumento dell’isolamento sociale che ognuno di noi sembra vivere, se tutto questo è vero allora siamo di fronte ad un fenomeno “sociale”, che non riguarda più il singolo o la singola famiglia.
Se queste ipotesi, poca cosa, per carità, hanno un qualche elemento di verità diventa necessario che avvenga un confronto serio sulla qualità della vita, sulle difficoltà dei genitori; laddove il disagio dilaga è il momento di sviluppare un confronto e una azione consapevole per cercare di migliorare, nel qui e ora, la qualità delle relazioni, con me stesso, con i miei amici, con la mia famiglia, con la mia classe, con i parenti, con mia moglie e mio marito, con la storia della mia famiglia, con i dolori che girano e si confermano tra le generazioni.
I panni sporchi si lavano insieme, ci siamo sporcati nel tentativo di arginare l’angoscia e la paura per l’altro e nel tentativo di proteggerci il più possibile dalla realtà che sembra sempre più oppressiva. I nostri figli sono un pallido riflesso delle paure, delle angosce e delle rabbie circolanti nel presente della generazione degli adulti, del decadimento della politica, della manipolazione della realtà, della competitività folle, di un futuro che viene mangiucchiato dall’appetito vorace del consumo e del potere.
Riaccendere il dialogo all’interno delle famiglie, rivitalizzare l’amore e la dolcezza, smussare gli angoli, riaprire le relazioni agli altri e curare delicatamente i rapporti, uscire dall’isolamento e credere ancora che esista la possibilità di ricostruire una società e una relazionalità sociale. Se restiamo individui isolati e se ciascuno spera e preme per risolvere i propri conflitti tramite un dialogo con il solo psicoterapeuta, l’inesorabilità di un futuro distopico è sempre più probabile.
Molto meglio aprirsi e confrontarsi, anche nel dolore e nella disperazione, e accogliere l’altro, gli altri, provando a ricostruire un sistema sociale in cui sia possibile confrontarsi e chiedere aiuto, non sentirsi soli e in cui gli animali, cani e gatti, torneranno ad essere cani e gatti e non soggetti quasi umani a cui affidare tutto il nostro affetto incondizionato, sicuri che, almeno loro, non ci tradiranno.
Abbiamo bisogno di contesti comunicativi condivisi, di progettualità condivisa, di imparare a cooperare, di apprendere il rispetto reciproco, la diversità, il pensiero divergente, di ascoltare con interesse, abbiamo bisogno di una verità che si nutra di fatti accertati, abbiamo bisogno che la verità non sia manipolata e asservita a interessi specifici, abbiamo bisogno che la libertà non sia di fare quello che ci pare ma che sia una libertà che inizia e finisce nel confronto e nella relazione corretta con l’altro.
Non posso invocare la libertà e promuovere solo la mia libertà di vivere nel migliore dei mondi possibili costruiti a mia immagine e somiglianza. Questa è sopraffazione, questa visione ha a che fare con il bisogno disperato del mondo di cambiare il proprio paradigma di sviluppo.
Abbiamo bisogno di accendere un canale di ascolto tra generazioni ma anche intergenerazionali. La nostra istituzione più importante, la scuola, sembra essere in grande sofferenza, i docenti sembrano essere in grande sofferenza e i tentativi fatti per ridare centralità alla scuola non sembrano andare nella direzione giusta: credo che sia molto importante concentrare l’attenzione sulla qualità del rapporto tra i docenti e utilizzare strumenti educativi basati su una didattica partecipativa.
Insistere sulla performance e sulle valutazioni personali approfondiscono le disparità e la distanza emotiva tra la ricerca di identità, tensione all’indipendenza, chiarezza nelle regole, capacità di comprendere l’intelligenza emotiva. Abbiamo bisogno di formulare una ipotesi di formazione della funzione docente che passi attraverso la capacità della gestione del gruppo classe e sugli aspetti della comunicazione emotiva , riaccendendo una passione per l’insegnamento che sembra spegnersi nel tempo.
Abbiamo tanto da fare noi adulti e fin quando resteremo isolati tra di noi non produrremo il cambiamento di assetto emotivo per aiutare i nostri figli in un mondo estremamente complesso e difficile.
Uno strumento possibile per riattivare un dialogo interiore condiviso e relazionale può essere il gruppo psicoanalitico multifamiliare. E’ uno dei pochi luoghi in cui è possibile confrontarsi tra persone addolorate e senzienti, non per condividere la sciagura e consolarsi, ma per provare a fare in modo che tanto dolore, che, a volte, attraversa le generazioni, possa trovare un argine e che possiamo ritrovare il bandolo di una matassa incasinata per recuperare un filo di speranza e una consapevolezza di una ricerca di una relazionalità sana. Possiamo essere sani, per farlo abbiamo bisogno di riflettere e confrontarci con le storie delle nostre famiglie patogene e patologiche, con riflessi e specchi di vite non vissute, con desideri che non sembrano essere miei.
Una piccola infinitesimale ricetta, che consiste nella proposta di una relazionalità gruppale condivisa e condivisibile, in cui sperimentare la costruzione di senso e promuovere la nostra salute, almeno quella mentale attraverso una virtualità sana.
Che ne dite, proviamo a far ripartire il gruppo psicoanalitico multifamiliare ad Isola del Liri? Mi sembra che ce ne sia un grande bisogno.
Lucio Maciocia