IBELIN - I GIOVANI E L'INCLUSIONE

  • Tommaso Villa

Tra pochi giorni, in un luogo che non troverete sulle mappe di Google, si raduneranno migliaia di ragazzi. Non si arriverà con la macchina, né con un treno, un aereo, una nave o persino un’astronave. Non ci sarà un cartello a indicare la strada.

È un’isola al centro di un lago, dentro un mondo chiamato World of Warcraft. È qui che ogni anno viene ricordato un ragazzo norvegese scomparso prematuramente: Mats Steen. Per tutti loro, però, Mats non è solo un nome: è Ibelin. Morì il 18 novembre 2014, a soli 25 anni.

Nel mondo reale, la sua vita sembrava piena di limiti: la distrofia muscolare lo costringeva alla sedia a rotelle e a una dipendenza totale dagli altri.

Nel mondo virtuale, invece, era libero. Correva, combatteva, rideva, amava. Era un leader, un amico, un compagno di viaggio. Era un eroe.

Quando morì, i suoi genitori credettero che la sua fosse stata un’esistenza segnata dalla solitudine. Scoprirono invece un universo immenso: centinaia di persone che piangevano un amico vero.

Persone che scrivevano:

  • “Non ce l’avrei fatta senza di lui”,
  • “Ha reso migliori le nostre giornate”,
  • “Era il mio punto di riferimento”.

Perché spesso l’inclusione non è una parola buona messa in un regolamento. L’inclusione è trovare la porta giusta. Non chiedere a qualcuno di adattarsi a un mondo che non è fatto per lui, ma essere noi a entrare nel suo.

Mats non ha mai potuto attraversare certi spazi del mondo fisico. Allora qualcuno gliene ha aperto uno alternativo, dove contava ciò che era dentro di lui, non ciò che gli mancava fuori. Non un gesto di pietà, non un premio di consolazione: una pari opportunità.

L’inclusione vera è quando smettiamo di vedere una disabilità e iniziamo a vedere una possibilità. È quando capiamo che spesso i limiti sono nostri, non loro. Perché il valore di una vita non si misura da quanto lontano qualcuno può camminare, ma da quanto può arrivare con noi.

Oggi Ibelin ha una lapide sull’isola digitale di Crystal Lake: una scritta semplice, che basta a riempire un mondo intero: “Profondamente rimpianto, mai dimenticato.”

Se un videogame ha saputo dare dignità, riconoscimento, memoria a un ragazzo che troppo spesso il mondo reale ignorava, allora la domanda è una sola: chi di noi sta davvero giocando la partita giusta?

In questi giorni, in cui tanti giovani accenderanno una candela virtuale per Ibelin, facciamoci una promessa concreta: che l’inclusione non resti confinata nei mondi dove tutto è possibile, ma invada anche le nostre città, le nostre scuole, la nostra quotidianità.

Perché non c’è futuro se qualcuno resta indietro. E non c’è comunità se si finge di non vedere chi lotta di più. L’unico gioco che vale davvero è quello in cui vinciamo tutti, anche chi, per correre, ha bisogno di un avatar.

E vale anche per quell’amico, quel vicino, quel compagno che oggi fa più fatica di noi, non per forza per una disabilità, ma perché la vita gli ha girato un po’ le spalle. Non lasciamo solo al mondo virtuale queste possibilità.

Entriamo nel mondo di ognuno, facciamo squadra con Ibelin. Sta a noi giocare la partita migliore.