IL CASO - "CASSINO NON E' DIVENTATA CORLEONE"

  • Tommaso Villa

Una frase detta in consiglio comunale a Cassino ha acceso, nel giro di pochi giorni, una polemica tra sindaci che ha fatto il giro d’Italia. È successo all’inizio di giugno, quando il primo cittadino Enzo Salera, nel tentativo di rassicurare i suoi concittadini dopo alcuni episodi di cronaca, in particolare l’incendio dell’auto di una magistrata, ha pronunciato una frase che non è passata inosservata: «Cassino non è diventata Corleone».

L’intenzione era chiara: evitare allarmismi, trasmettere il messaggio che la situazione non è fuori controllo. Ma le parole, si sa, pesano. E quando si evocano nomi carichi di storia e simboli, anche a distanza di centinaia di chilometri, la reazione può essere forte.

Infatti, da Corleone, cittadina che da decenni si batte per scrollarsi di dosso l’etichetta legata alla criminalità organizzata, è arrivata una risposta netta. Il sindaco Walter Rà non ha nascosto l’amarezza. Ha parlato di “paragone inaccettabile”, sottolineando come Corleone oggi sia una città viva, pacifica, che ha voltato pagina e che lavora ogni giorno per costruire un presente diverso dal suo passato ingombrante. Ha chiesto rispetto, ha invitato il collega di Cassino a visitare il paese, per vedere con i propri occhi la realtà di oggi.

La questione si è infiammata rapidamente. In Sicilia, molti hanno preso posizione al fianco di Rà: cittadini, giornalisti, associazioni antimafia. Alcuni si sono chiesti se davvero si possa ancora usare “Corleone” come sinonimo di pericolo, e se non sia arrivato il momento di archiviare certi riferimenti facili. Altri hanno difeso Salera, convinti che si trattasse solo di una frase detta al volo, per sminare un momento di tensione.

Ma, al di là dello scontro in sé, resta un interrogativo più ampio: quando un sindaco parla, di cosa deve tenere conto? Solo della sua città? O anche del modo in cui le sue parole si riflettono altrove?

In fondo, questa storia ci ricorda che la comunicazione pubblica è fatta anche di rispetto reciproco. E che se vogliamo davvero cambiare l’immagine dei nostri territori non possiamo farlo screditando altri perché dietro ogni nome c’è una comunità.