CIOCIARIA - SUPERSTIZIONI E CREDENZE
- Tommaso Villa
Nel cuore della Ciociaria, tra preghiere e tecnologia, c’è chi ancora nasconde un corno rosso in tasca, mette l’aglio sotto il cuscino o chiama la “zia” per sciogliere il malocchio. Tradizioni che resistono, mescolandosi al presente con naturalezza. Il malocchio è una delle paure più radicate: si dice colpisca con uno sguardo invidioso, portando stanchezza, malanni o sfortuna. Per proteggersi, si usano gesti semplici: l’olio nell’acqua, preghiere in dialetto, segni di croce a mezzanotte. Se l’olio si allarga, il verdetto è chiaro: malocchio. Solo una donna può scioglierlo, recitando formule segrete tramandate da generazioni.
A tavola, il pane non si capovolge mai: è simbolo di lavoro e grazia divina. In passato si lasciava un pezzo la notte del due novembre per i defunti. Il sale, invece, scacciava il malocchio e purificava le case: gettato dietro la spalla sinistra o tenuto in tasca, conserva ancora oggi un’aura potente e ambigua.
Anche la scopa dietro la porta, la croce appesa al muro e i ferri battuti non sono solo oggetti: sono scudi invisibili contro il male. Gesti come “toccare ferro” o incrociare le dita accompagnano la quotidianità, legando fede, protezione e destino. Secondo alcuni studiosi, la forza di queste credenze sta proprio nella geografia: le zone periferiche conservano il passato meglio dei centri urbani. Così, in Ciociaria si trovano ancora elementi arcaici come la ciocia (calzatura già nota ai tempi di Virgilio) o capanne che ricordano quelle dell’antica Roma. Anche la tradizione orale ha lasciato un patrimonio prezioso: fiabe, canti e preghiere raccolti tra fine ’800 e primi ’900 da studiosi come Targioni-Tozzetti e Colacicchi.
Le testimonianze odierne parlano ancora di lupinari, uomini-lupo che nelle notti di luna piena si aggiravano tra i boschi, ululando alla luna e cercando acqua per alleviare le sofferenze della trasformazione. Mostri spaventosi, ma anche simboli di paure ataviche, forse ispirati al mito greco di Licaone. Leggenda questa, condivisa tra Ciociaria e sud Italia (in particolare lo possiamo ritrovare in Sicilia), e per questo degna d’essere studiata e approfondita per gli appassionati.
Ma il folklore non si ferma qui. Nei borghi storici più antichi, infatti, si racconta anche di fate buone e maligne, capaci di confondere i viandanti o di proteggere i neonati con doni invisibili. E si parla anche di streghe, che si radunavano presso grotte e fontane, parlando lingue dimenticate. A volte curando, a volte maledicendo. Queste storie resistono perché ci somigliano. Sono fatte di paura e desiderio, mistero e speranza. Ed è infatti proprio il mistero ad avere radici profonde: scavando nel mito, crescendo nel silenzio. Credenze e superstizioni che anche oggi ci ricordano che il confine tra reale e invisibile è sottile. E profondamente umano.
Giulia Costantini