ECONOMIA - PER IL RILANCIO DELLA CIOCIARIA SERVE SOLO LA ZES

  • Tommaso Villa

C’è un punto, in questa storia, che nessuno ha davvero il coraggio di affrontare: la provincia di Frosinone non ha bisogno della ZLS. Ha bisogno della ZES. È una differenza che, letta così, sembra un tecnicismo. In realtà è la linea che separa un territorio che prova a rialzarsi da un territorio che viene lasciato a cavarsela da solo. E noi, qui, nel cuore del Lazio che non fa rumore, sappiamo bene da che parte stiamo.

La ZES, per legge, nasce per sostenere le aree in ritardo: quelle che hanno perso industrie, collegamenti, competitività, giovani, opportunità. Le aree che negli ultimi decenni hanno conosciuto più chiusure che inaugurazioni, più partenze che arrivi, più incertezze che prospettive.

È uno strumento di recupero: una spinta pensata per i territori che si stanno svuotando, che rischiano di rimanere indietro, che non riescono più ad attrarre investimenti senza un incentivo forte.

La ZLS, invece, serve a tutt’altro. È pensata per territori che corrono già: porti, retroporti, hub logistici, corridoi europei, filiere ricche, volumi di merci importanti. Non offre agevolazioni fiscali significative, non riaccende filiere morenti, non rimette in moto un sistema industriale fermo. La ZLS è una “corsia di sorpasso”, utile per chi è già in piena velocità. Ma per chi fatica a rimettere in moto il proprio motore, lo spoiler non serve a niente.

E allora la domanda diventa inevitabile, quasi imbarazzante nella sua semplicità: la provincia di Frosinone e il basso Lazio, oggi, assomigliano a territori che stanno correndo… o a territori che hanno bisogno di essere rialzati?

La risposta la conosciamo tutti. Negli ultimi vent’anni abbiamo visto chiudere stabilimenti, prosciugarsi intere filiere, svuotarsi capannoni che erano il cuore pulsante dell’economia locale.

Il tessile ha resistito con dignità, ma da solo non basta. La manifattura ha perso pezzi, la logistica non è mai decollata. Mentre altrove si parlava di interporti e di corridoi europei, qui si parlava semplicemente di sopravvivenza.

E allora sì, la ZES sarebbe stata la scelta naturale. Quella logica. Quella coerente con i numeri, con la storia recente e con le condizioni reali del territorio.

La ZLS, invece, da noi cambierebbe quasi nulla. Pochissime aziende avrebbero un beneficio concreto. È come montare un alettone da Formula 1 su un’auto che fatica perfino ad accendersi: non è lo spoiler a far ripartire il motore.

Il punto non è fare polemica, né puntare il dito. Il punto è fare una domanda che nessuno sembra voler pronunciare ad alta voce: perché dare un acceleratore ai territori già forti, e negare la stampella a quelli che hanno più bisogno di rialzarsi?

Non chiediamo privilegi. Chiediamo pari opportunità. Chiediamo che un territorio che ha dato per decenni e che ancora oggi prova a tenere insieme industria, artigianato e servizi possa avere gli stessi strumenti degli altri.

Perché qui, nei nostri paesi, nelle nostre valli, c’è ancora chi crede che una nuova stagione industriale sia possibile. Ma per farla partire servono scelte coraggiose, non contentini. E se qualcuno pensa che una domanda così sia “populismo”, pazienza. Noi la chiamiamo libera informazione.

Penna e Spada continuerà a chiederlo, finché servirà: perché Frosinone e il basso Lazio non possono avere la ZES? Perché per questo territorio non ci sono mai risorse?

PS. In questi giorni abbiamo ricordato molte storie, progetti, idee che avrebbero potuto cambiare il nostro futuro. Tutti fermi per lo stesso, identico motivo.