AUTOMOTIVE - I CINESI STANNO CONQUISTANDO IL MERCATO ITALIANO

  • Tommaso Villa

I dati della CGIA di Mestre, questa volta, non lasciano spazio alle interpretazioni. Nel giro di undici mesi i marchi cinesi – compresi quelli assemblati in Italia e il mondo Volvo controllato da Geely – hanno conquistato il 9% del mercato. Una crescita fulminea, quasi sfacciata, con BYD che ha moltiplicato per dieci le immatricolazioni e MG salita sopra il 3% come se niente fosse.

E non parliamo di nicchie: i modelli cinesi iniziano a comparire stabilmente tra le auto più vendute, soprattutto nell’elettrico. Fin qui, il mercato, poi c’è il resto, quello che i grafici non raccontano. La verità è che la Cina produce più auto di quante riesca a vendere. Tante, troppe. I piazzali sono pieni, la domanda interna è in calo, le fabbriche non possono fermarsi.

E quando un colosso è in sovrapproduzione, fa quello che fanno tutti i colossi: invade i mercati dove può. L’Europa, purtroppo, è il più esposto. Perché spinge sulla transizione elettrica, ma senza una vera politica industriale. Perché impone regole severissime ai propri produttori, mentre dall’altra parte del mondo intere filiere, dal litio al cobalto, dalle batterie alle piattaforme, sono già finite sotto controllo cinese. La verità, scomoda ma reale, è che noi rincorriamo mentre loro corrono. E questa distanza non resta nei consigli di amministrazione delle grandi capitali industriali. Arriva anche qui, da noi. Arriva a Cassino.

Nelle ultime ore Stellantis ha annunciato un nuovo stop produttivo. Un altro, un ennesimo segnale di un equilibrio che si fa ogni mese più fragile. La UIL lo dice chiaro: «Così non si va avanti», chiedendo misure urgenti e non più rinviabili. Perché ogni fermo pesa sui lavoratori, sulle famiglie, sull’indotto. E pesa anche sul morale di un territorio che ha retto in silenzio per anni, nella speranza che la “transizione” portasse futuro, non incertezza.

E intanto le auto cinesi arrivano a migliaia, spinte da una produzione che nessuno riesce a contenere e da prezzi che l’Europa non è in grado di pareggiare. Non è solo concorrenza: è uno scontro fra due modelli di mondo. Uno industriale, rapidissimo, centralizzato; l’altro burocratico, lento, diviso; e Cassino, come sempre accade ai territori di confine industriale, è tra i primi a sentirlo sulla pelle. La domanda, ora, non è più tecnica ma politica: quanto possiamo resistere così? Perché la transizione, da sola, non salva le fabbriche. Le salvano le scelte. Le decisioni. Le visioni. E di visione, per l’automotive europeo, oggi se ne vede poca.

Se l’Europa non cambia passo, se non decide finalmente di proteggere il proprio settore, se non mette al centro batterie, materie prime, filiera e lavoro, allora rischiamo che gli stop di Cassino diventino la normalità. E che quello che oggi è un allarme, domani diventi una rassegnazione. E questo, davvero, non possiamo permettercelo.