GAZA - ASSEDIO DELLA FAME E DELLA SETE

  • Tommaso Villa

Sotto assedio, soprattutto nel modo più crudele, subdolo, senza sangue. Igienizzato. L’assedio della fame e della sete. L’assedio in una cella di 365 chilometri quadrati in cui il carceriere (Israele) non fa entrare una goccia d’acqua. Né riso, o farina. Niente. Nulla. Da due mesi esatti, dal 2 marzo, quando – formalmente – era ancora in vigore l’accordo complessivo di cessate il fuoco concordato alla presenza dei mediatori, Qatar, Egitto, Stati Uniti (Europa assente, anzi, totalmente esclusa).

Da due mesi esatti due milioni di persone – circa, il numero non è certo, visto il massacro in corso da un anno e mezzo – non hanno di che mangiare. Cominciano a morire di fame, per carestia indotta da Israele, mentre migliaia di camion, tir, autoarticolati giacciono sotto il sole, già forte, alle spalle dei valichi, in attesa che il carceriere (Israele) apra i cancelli.

Ho l’impressione che in Italia non si riesca a immaginare lo spazio in cui tutto questo si svolge. Non si riesca, cioè, a ricreare il modellino, il rendering dello spazio fisico e geografico di Gaza. Altrimenti non riusciremmo a sopportare un giorno di più l’enormità morale che ci sta schiacciando. Non si vedono neanche le immagini – da inferno dantesco – delle grandi, medie, piccole pentole di risulta, quelle che i palestinesi di Gaza sono riusciti a portarsi nel loro viaggio perenne dentro questo formicaio sigillato.

Le pentole luccicano, colpite dai raggi del sole, nelle foto che riprendono dall’alto la folla che si accalca attorno alle cucine comuni, messe su dalle organizzazioni umanitarie, le ong, le piccole associazioni che ancora sono lì. Gli eroi e le eroine che ci salveranno da un suicidio collettivo in corso. Ci salveranno anche con il loro sacrificio, perché quelle cucine, e i magazzini di stoccaggio dei viveri e dell’acqua e dei medicinali sono stati presi di mira e colpiti dall’aviazione israeliana. Le pentole luccicano, sollevate da mani adulte e dalle manine dei bambini, in attesa che un grande mestolo le riempia, o solo le tocchi. Mentre nelle tende, tra le macerie, la morte silenziosa e invisibile per fame non fa – appunto – rumore.

Il rumore, invece, dovrebbe farlo anche dentro i noi. E costringerci a dire: “oddio, oppure O Dio, cos’ho fatto? Dov’ero?”

https://www.invisiblearabs.com/2025/05/03/gaza-alla-fame-e-alla-sete-e-anche-il-nostro-assedio/

Fonte blog Paola Caridi, scrittrice e giornalista. Da oltre 20 anni si occupa di Medio Oriente e Nord Africa. Ha pubblicato quasi tutti i suoi saggi con Feltrinelli.